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giovedì 29 ottobre 2009

BELQUIS ZAHIR, UNA PRINCIPESSA A FILICUDI

da un articolo di strettoindispensabile
Nell’isola ha ritrovato le sensazioni provate da bambina nel suo Paese. Il suo volto è quello di tante donne trasformate in fantasmi dai Talebani.
C’era una volta, in un regno molto lontano, una piccola principessa allegra e spensierata, che si divertiva a giocare a nascondino nel palazzo del re. Ma un giorno, uno dei tanti, appare di colpo uno zio cattivo che in un battibaleno s’impadronisce del regno e del trono del caro nonnino.Fu così che Belquis Zahir, ancora una bimba, si ridestò improvvisamente dal mondo incantato della monarchia, come vogliono le favole, per ritrovarsi con la sua famiglia in cerca di un riparo e di accoglienza in un altro Paese.In questa storia, che non è invenzione, ma cruda realtà: per Belquis infatti, nipote dell’ultimo re dell’Afghanistan, nonostante siano trascorsi 30 anni tutto questo è ancora un incubo da dimenticare. Oggi la principessa, che di principesco non osa ostentare nulla se non l’eterea grazia dei lineamenti e la nobile natura del suo animo. Belquis coltiva vari interessi e nel cassetto conserva oltre il titolo regale un certificato di architettura per interni, conseguito alla Thecnical school di Londra.
Anelli, scultura e lettini pakistani (sdraie annodate in corda), sono i suoi prodotti manufatturieri dove etnicità afghana e gusto prettamente «Belquisiano» si fondono bene.
Dopo l’Inghilterra e i fiori irlandesi, la Thailandia e le sue palafitte, i Caraibi e le sue spiagge bianche infarinate di cocco, Filicudi è la sua terra di conquista. Belquis oltre a conquistare la gente isolana ha comprato anche una casa in antico stile eoliano che ha arredato da sola. Al posto del «Palmento» ha realizzato un’ampia cucina in muratura con tanto di dispensa riposta nel pozzetto in cui andava a finire l’uva pigiata. Il bagno invece sostituisce la cucina; l’antico focolaio è stato soppiantato da un lavandino, un misto tra una fonte battesimale e un pezzo di fontana, la parete conica del comignolo è percorsa da un lungo specchio di valore con due lampadari che fanno da cornice.
Dulcis in fundo; la pancia del forno che ormai non serve più a cuocere il pane è un’accogliente cabina in cemento per rilassarsi ritualmente sotto una doccia calda.
Perché a Filicudi?
«Anni fa, quando venni ospite di un mio carissimo amico, ho subito ricevuto una calorosa sensazione di sintonia con il paesaggio naturale e vi ho intravisto una somiglianza, per certi aspetti, alla mia terra d’origine.
Poi ho provato a trascorrervi un periodo più lungo durante l’inverno ed il risultato fu quello di averci “ piantato le tende”. Filicudi a primo impatto può generare panico e insicurezza.
A me l’isola ha fatto pensare al grembo di una madre che coccola e veglia sul suo bambino. Mi sento protettae al sicuro dall’inquinamento acustico, dalla globalizzazione, come tendenza ad assomigliarci tutti e dalla frenesia della vita».
Ti capita di annoiarti?
«Assolutamente no. Filicudi è un microcosmo da cui puoi osservare il cielo stellato e i cicli lunari per intero da qualunque finestra della tua casa, senza la trappola dei palazzi attorno».
Come sono i filicudari?
«Il clima è caldo come gli stessi isolani, forse grazie al sole: altrove le persone tendono ad essere tristi a causa di pioggia e freddo. Poi qui si ha più tempo per se stessi. Il rapporto con la gente è splendido.
Mi piacerebbe mangiare e ballare insieme, come si faceva una volta anche qui».
Cos’è l’Afghanistan per te?
«Manco da quasi trent’anni, ma il pensiero è lì e il mio sogno è che si dia fine per sempre alle guerre civili.Penso che per superare i problemi dell’Afghanistan di oggi si dovrebbe lottare prima contro l’analfabetismo.
L’integralismo islamico fa infatti leva sull’incapacità di moltissimi fedeli di leggere le scritture del corano. Lì non sta scritto ciò che invece viene imposto loro con la forza, specie alle donne».
Gabriella Federico

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