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domenica 22 febbraio 2009

Malvasia delle Lipari

Già nell’antichità venivano prodotti in Grecia dei vini, il più delle volte bianchi (ma talora anche rossi), provenienti da grappoli di tanti differenti vitigni con un unico punto comune: il loro appassimento al sole. La mescolanza (o uvaggio) più o meno casuale di tante uve diverse tra loro era del resto l’uso più frequente, sino a non molti decenni fa, nella produzione di vino. Questi vini, provenienti dal Peloponneso, da Rodi e soprattutto da Creta, venivano denominati, per lo più vini Cretici, e a un certo punto del Medioevo il loro punto di raccolta e di partenza per l’esportazione divenne il porto di Monemvasia, città ancora oggi esistente nel Peloponneso. Da qui partivano le navi della Repubblica di Venezia, la quale trasportava e vendeva il vino Cretico in tutto il Mediterraneo e nell’Europa del Nord, soprattutto dopo averne ottenuto nel 1248 la licenza esclusiva per il commercio.
Tanto crebbe la fama della Malvasia, che attorno al 1500 e nei due secoli successivi, divenne il vino più famoso d’Europa. E tanto legata ad esso era la città di Monemvasia, che dopo il 1200 cominciò ad identificare con il suo nome il vino, un vino dolce aromatico. Il nome, storpiato dai Veneziani, divenne prima Malvagia e poi Malvasia: tant’è vero che a Venezia esisteva il fondaco della Malvasia e c’erano molte osterie che vendevano solo questo vino e che da esso prendevano il nome. La Repubblica di Venezia aveva quindi nell’esportazione della Malvasia una fonte non piccola del proprio bilancio, e per far fronte alla grande richiesta di questo vino di gran moda ne incrementò la produzione e la concentrò nell’isola di Creta. Nel 1463 prese possesso di Monemvasia, ma quando nel 1540 i Turchi occuparono Creta, per non perdere quello che oggi chiameremmo un "ricco business", la Repubblica di Venezia favorì l’introduzione in alcune zone dei vari vitigni che, assemblati, davano il Malvasia, specie lungo le rotte navali che portavano alla città di San Marco. E favor contestualmente la produzione di un vino con la medesima tecnica di vinificazione.Fu così che si incominciò la produzione di Malvasia anche al di fuori della Repubblica di Venezia: in tante isole greche, in Dalmazia, nel Sud della Francia, in Spagna, in Portogallo, e, cosa che a noi interessa di più, praticamente in tutte le regioni italiane. In un’epoca in cui la parola denominazione di origine controllata era completamente sconosciuta, così come il sistema di pensiero che ne è alla base, bastava produrre un vino non dico proveniente da alcune delle uve tipiche del Malvasia, ma soltanto simile ad esso per l’appassimento dei grappoli, per la vinificazione e per le caratteristiche organolettiche, per chiamarlo con lo stesso nome.
Ai nostri giorni, in Italia, esistono ben 17 vitigni malvasie annotati nel Registro Nazionale delle varietà di vite mentre in Europa si ritiene esistano 46 tipi di Malvasie diverse.
Difficile dire con certezza quale sia l’origine storica della “Malvasia delle Lipari” (bisognerebbe compiere una indagine scientifica di confronto tra i vari vitigni e in particolare con quelli della Laconia e dell’isola di Creta), si ritiene però che sia stata introdotta nell’ arcipelago eoliano da coloni greci nel 500 avanti Cristo. Il primo documento storico che parli di malvasia eoliana sia una nota di carico di un notaio messinese datata 1653.
Così Guy de Maupassant nell'opera “La vita errante” (1890) ha descritto la Malvasia delle Lipari: "Sembra sciroppo di zolfo. È proprio il vino dei vulcani, denso, zuccherato, dorato e con un tale sapore di zolfo che vi rimane al palato fino a sera: il vino del diavolo".
La “Malvasia delle Lipari” è un vino di denominazione d’origine controllata (d.o.c.) dal 1973, con una produzione di circa 1100 ettolitri l’anno, prodotta con uve bianche malvasia nella percentuale del 95 % e da uve nere (detta “minutidda” dai locali o meglio “Corinto nero” secondo la denominazione ufficiale).

Il vitigno oggi si coltiva secondo il metodo dei filari; scomparso quasi del tutto, invece (ultimi esempi permangono nel comune di Malfa) il sistema delle prieule (sesti di metri 1,40 x 1,40 dentro quadrati di metri 5 x 5) cioè dei pergolati bassi.
Per la produzione del vino malvasia si segue un procedimento detto di “appassimento”: l’uva dopo una accurata e delicata raccolta oltre che selezione degli acini migliori, viene adagiata sulle cosiddette “cannizze” (stuoie realizzate con canne locali).
Qui si appassisce lentamente per 10-20 giorni, a seconda delle condizioni atmosferiche, seguendo una quotidiana procedura di “scannizzamento” ed “incannizzamento” ovvero gli addetti operai spostano le cannizze al sole durante le ore soleggiate e le riparano dentro alle “pinnate” (speciali ambienti con un lato aperto) durante le ore notturne o durante i giorni umidi e piovosi.
Quando i grappoli d’uva sono ben asciutti e appassiti si procede alla torchiatura: i grappoli vengono stretti nel torchio fino all’ultima goccia di mosto.
Il mosto viene riparato in botti di castagno o di rovere affinché possa fermentare. Si procede, in ultimo, a 2 travasi “chiarificatori”, l’uno a gennaio e l’altro definitivo intorno a marzo. Da aprile, come diceva lo Spallanzani nel 1700, non resta che godere di questa “rara e deliziosa bevanda” che “è di uno schietto color d’ambra, generoso insieme, e soave, che inonda e colora la bocca d’un amabile fragranza”. La malvasia rappresenta oggi per il territorio delle Eolie la scommessa per il futuro. Crescono i consumatori, cresce il numero dei produttori, dovrà crescere solo l’interesse per la sua storia e la sua tradizione. Non ci sarà futuro se non si rispetteranno e conserveranno procedimenti e saperi del passato.

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